Qualche mese fa avevo scritto alcune cose sullo stato dell’arte del rovescio a una mano nel tennis attuale.
Una sua derivazione/variazione è lo «slice», dalle nostre parti definito spesso «back» forse per il tipo di rotazione che viene impressa alla palla, in inglese chiamata backspin (mentre «slice» ricorda la gestualità del colpo che, in un movimento della racchetta dall’alto verso il basso, sembra ‘tagliare’ la palla attraverso l’impatto).
Con lo «slice» (lo si puó ovviamente anche giocare di dritto) la palla, dopo aver lasciato le corde, tende a ruotare all’indietro, generando un rimbalzo che puó avere molte caratteristiche diverse ma è in genere più basso e imprevedibile di quando il colpo è piatto o in topspin.
Più di altri modi di colpire, un aspetto peculiare è proprio la sua flessibilità, i moltissimi modi diversi nei quali può essere eseguito, sia dal punto di vista tecnico che nel suo utilizzo tattico.
Questo lo ha sempre reso affascinante, un feticcio del tennis che fu, quello più snob ed elegante, una sorta di pennello grazie al quale si ha realmente l’impressione di poter disegnare nell’aria traiettorie, alle volte dolci e curve, alle volte taglienti e dirette, per ‘muovere’ il gioco come meglio ci pare, con quel pizzico di pigrizia e arroganza ottenuta tramite gradienti di effetto, direzione e velocità dalla progressività infinita.
Gestendo l’altezza del punto di impatto (che puó essere molto diversa), la velocità del braccio, l’angolo di incidenza della palla con il piatto corde tramite l’inclinazione del polso/avambraccio, è infatti possibile utilizzarlo nei modi più svariati: come cambio di ritmo, come palla corta, come ficcante approccio verso la rete, come recupero in una situazione di estremo ritardo o come rifugio rassicurante in una situazione di insicurezza sul rovescio.
Ed è anche l’effetto, in una certa misura, che dobbiamo dare a molte delle nostre volée se desideriamo modularne la profondità e, in una variante dimensionale, quando vogliamo giocare un servizio ad uscire da destra, presupponendo di essere destrimani, o da sinistra se mancini.
Insomma, uno oggetto tecnico dalle varie applicazioni, grazie a mille regolazioni molto fini di una duttilità tattica notevole, sempre a patto di possedere una buona tecnica esecutiva e una certa sensibilità cinestesica nell’avambraccio.
E allora perchè, al giorno d’oggi, così pochi giocatori e poche giocatrici lo utilizzano e ancor meno lo eseguono in modo davvero efficace (tralasciando la sua funzione sul servizio)?
La motivazione principale risiede, a mio parere, nella convinzione diffusa - e per alcuni versi fondata - che sia una colpo ‘debole’, che genera troppa poca velocità di palla per i tempi frenetici del tennis attuale, concedendo agli incredibili atleti di oggi - che ad esempio si trovano a dover gestire una rotazione simile sulla diagonale di rovescio - di ‘girarci attorno’ e giocare la palla in arrivo tramite un dritto, con tutta la su moderna brutalità e pericolosità.
Concede del ‘tempo’ all’avversario, risorsa sempre meno disponibile e quindi difficile da regalare a cuor leggero.
Peró questa è anche la sua forza dato dato che molti giocatori non gradiscono avere questo tutto tempo a disposizione per pensare al colpo da giocare e alle proprie paure, soprattutto dovendo generare loro tutta la spinta sulla palla, magari ad una altezza dal terreno non così gradita.
Quindi, se è vero che è un colpo il cui utilizzo è più azzardato che in passato (chiunque abbia giocato contro - o solo visto giocare - Rafael Nadal se ne sarà reso conto) e che può esporre all’aggressione feroce dell’avversario, come nel caso del rovescio a una mano si è soprattutto creata una reputazione negativa, nelle proporzioni infondata, una sorta di anti-moda che ha fatto smarrire l’abitudine a coltivarlo per bene fin da ragazzini allenandolo nei termini giusti.
È un peccato perché rimane uno strumento potenzialmente molto utile, ovviamente con il presupposto di saperlo giocare nel modo corretto e nelle situazioni più opportune.
Che sono un po’ differenti da quelle del passato, quando tempi, materiali e corpi ne permettevano un utilizzo molto più frequente e disinvolto.